Michail e Vita T. abitavano a Charkiw, da marzo 2022 sono assistiti dalla famiglia di Christine Davatz, District Governor. Essi ci raccontano la loro storia e di come ora trascorrono la vita nel nostro Paese.
Le bombe e i missili cominciarono a cadere sulla nostra città alle cinque del mattino. Il tempo dell’orrore ebbe inizio. Trascorsero giorni di paura, spesso dovevamo scendere nei seminterrati. Siccome gli attacchi non avevano mai fine, decidemmo a malincuore di andarcene. Dall’ 11 marzo 2022 mia moglie ed io viviamo in Svizzera.
Entrambi siamo nati nella città di Charkiw, la nostra patria; li siamo cresciuti e li abbiamo passato una buona parte del nostro tempo. All’età di 22 anni fui chiamato a svolgere il servizio militare nell’armata sovietica, 18 mesi se ne andarono in una località distante 800km da casa. Per la prima volta fui lontano dalla mia città e dalla mia famiglia per un periodo così lungo. Allora ero giovane e comunque sapevo che presto o tardi sarei tornato a casa. Oggi è tutta un’altra cosa ed è molto, molto peggio.
Nel 1991 la maggioranza del popolo ucraino, noi due compresi, prese parte a un referendum votando per l’uscita dall’URSS. Decidemmo a favore di un’Ucraina libera, democratica e indipendente. Nuove prospettive si aprirono dunque davanti a noi. Potevamo costruire una nuova vita senza osservare i dettami del Partito Comunista, decidere di lavorare e vivere altrove, acquistare merci che fino ad allora erano visibili solo sui cataloghi OTTO, viaggiare in tutto il mondo verso posti che fino ad allora avevamo visto solo in televisione.
Come capita a tutti, nella vita ci sono i momenti belli ma anche quelli meno piacevoli; tuttavia, tutto scorre e idealmente si tende verso il meglio. Mia moglie ed io viviamo insieme da 31 anni: dall’inizio eravamo certi che saremmo vissuti insieme in un clima di felicità e di pace. Abitavamo in un bell’appartamento in un quartiere nuovo della città, abbiamo quattro figli e quattro nipotini, tutti abitavamo a Charkiw. Ci si vedeva spesso per festeggiare insieme i compleanni e le ricorrenze familiari. Ogni anno passavamo le vacanze al mare con i nostri nipotini, andavamo in Turchia, in Egitto e in Grecia.
Dal giorno ufficiale dell’attacco russo, il 24 febbraio 2022, la nostra vita è andata sottosopra. Quel giorno verso le 5 del mattino fui svegliato dal rumore delle esplosioni e dai bagliori che venivano dalle finestre. Apparentemente non erano troppo vicini alla nostra casa ma in ogni modo facevano paura. Svegliai subito mia moglie e anche il nostro nipotino più grande che allora trascorreva un po’ di tempo da noi. Tuttora non ho parole per descrivere quel momento è stato uno shock. Per parecchie ore restammo in silenzio senza sapere cosa fare. Durante i giorni successivi, trascorsi su e giù fra la cantina e l’appartamento, immaginavamo che tutto ciò fosse solo un brutto incubo. Con il trascorrere del tempo fu però evidente che non si trattava di un sogno: era tutto vero e altrettanto chiara fu la gravità di ciò che ci aspettava.
Già a partire dal primo giorno di guerra i nostri parenti ci invitarono a raggiungerli in Svizzera. Una settimana dopo, allorché un missile centrò una casa vicina, decidemmo di fuggire. Solo mia moglie ed io ci riuscimmo; mettemo velocemente insieme due valigie di roba pensando di prendere il primo treno verso l’ ovest. Notammo subito che gli orari non venivano rispettati e che nessuno acquistava i biglietti, migliaia di persone affollavano la stazione ferroviaria di Charkiv, una Babele dove ognuno cercava di prendere un posto sul treno, una gigantesca confusione.
Perciò decidemmo di partire in auto. Avevamo tre posti liberi per la nostra vicina, che ci chiese di prenderla a bordo con i suoi due bambini piccoli. Per ovvie ragioni suo marito non venne con noi. Senza un percorso predefinito puntammo quindi verso ovest, nella speranza di passare la frontiera ucraina nel modo più spedito possibile.
Le strade erano intasate di gente e di auto, di tanto in tanto nelle vicinanze cadevano bombe e razzi. Ogni 30-50 km c’ erano checkpoints eretti dall’ esercito e dalla polizia, qui c’era un controllo dei documenti e delle vetture. Talvolta per passare questi blocchi servivano solo dieci minuti ma in certi casi anche due ore. Ahinoi, il risultato del primo giorno di trasferta fu di soli 250km. Arrivai in seguito a trascorrere 23 ore al volante senza interruzione. Se prima della guerra qualcuno mi avesse detto cosa sarei riuscito a fare a 65 anni, non gli avrei creduto.
Ci tengo ora a raccontarvi in quale modo la popolazione ucraina ha saputo aiutarsi a vicenda. Passammo la prima notte a Dnipro presso persone sconosciute. Costoro ci ospitarono (eravamo in cinque), ci rifocillarono e ci diedero un posto per la notte, oltre a ciò, anche dei suggerimenti che in seguito ci tornarono utili. In particolare, fu il comportamento di un medico dentista di Khmelnitsky a colpirmi. Vedendo con noi dei bambini, ci accompagnò nella casa di un suo conoscente che era partito verso l’Europa. In questa confortevole abitazione potemmo riposare per un paio di giorni. Alle sei del mattino del giorno successivo ci condusse personalmente al distributore, in Ucraina c’ erano grandi difficoltà di rifornimento di benzina e diesel. In seguito, si adoperò portandoci da Khmelnitsky fino alla strada che portava alla frontiera verso la Romania. Per tutta la vita ricorderò questa persona per tutto ciò che ha liberamente scelto di fare per noi.
Per arrivare alla frontiera trovammo una lunghissima colonna di auto, impiegammo 17 ore per percorrere due km fino alla dogana rumena. In tutto questo tempo volontari ucraini e rumeni distribuivano the, caffè e panini a noi fuggiaschi.
In Ungheria ci congedammo dalla nostra vicina e dai suoi due bambini, che lasciammo dai loro amici; noi due proseguimmo il viaggio da soli. Complessivamente il viaggio durò ben nove giorni; in altre precedenti occasioni avevamo impiegato solo tre giorni per lo stesso tragitto verso la Svizzera.
Arrivati in Svizzera, ci toccarono profondamente nel cuore la cordialità e la cura dimostrati durante la nostra accoglienza. Siamo infinitamente grati al Governo svizzero, alla popolazione svizzera e ai nostri familiari per averci accolti. Il cugino di mio padre, nato a Charkiw nel 1930, oggi è cittadino svizzero. Ancora giovane, durante la II guerra mondiale egli stesso fuggì dai bombardamenti su Charkiw e alla fine delle peripezie giunse in Svizzera. Malauguratamente oggi la storia si ripete a causa di un nuovo aggressore, la Russia.
Oggi abitiamo in una casa confortevole, calda e colma di luce, dove abbiamo tutto ciò che ci serve. Probabilmente molti milioni di persone che vivono in Africa e in Asia ci invidiano, tuttavia siamo molto tristi per la sorte che ci é toccata. I nostri cuori sono a pezzi e sono rimasti a casa, in Ucraina. Li sono rimaste due nostre figlie e un figlio, che sentiamo ogni mattina. Vogliamo sapere come se la passano, se in un modo o nell’ altro riescono a convivere con la paura e con la tensione che ogni notte impediscono di dormire.
Questa non è la sede giusta per parlare di politica ma le stesse domande mi perseguitano ad ogni giorno che passa: per quale ragione un dittatore fuori di senno si arroga il diritto di provocare una tragedia coinvolgendo milioni di persone che risiedono in un paese indipendente e libero che vuole distruggere a tutti i costi? Perché trasforma la Russia, il suo Paese, noto in tutto il mondo per i suoi scrittori, per i suoi poeti e i suoi grandi compositori, in una nazione di banditi che costringono i propri cittadini a vivere con la paura? Con quale motivazione pensando alla Russia, oggi non ricordiamo Puschkin oppure Tschaikowsky, bensì i barbari e i violentatori che si sono macchiati di crimini di guerra inenarrabili a Bucha, a Izyum, a Cherson e a Mariupol? Spero che il mondo intero comprenda quali sarebbero le conseguenze di una vittoria russa in Ucraina: cosa accadrebbe in Polonia, in Moldavia, nei Paesi balitici e infine nell’intera Europa?
In questo momento per noi è difficile fare piani per il futuro: non capiamo nemmeno quale potrebbe essere il nostro prossimo passo. Oggi sarebbe pressoché impossibile ritornare a vivere a Charkiw. Quasi ogni giorno arrivano granate o missili dalla Russia e così è già da 11 mesi. Molti edifici abitativi, scuole, ospedali, supermercati, negozi e fabbriche sono distrutti. Durante la giornata le forniture di acqua, elettricità e riscaldamento sono spesso interrotte. Molti negozi e centri di pronto soccorso non sono in esercizio, nessuna scuola è più accessibile. La nostra figlia più giovane vive tuttora a Charkiw. Si rifiuta di lasciare la sua città, di abbandonare la sua casa e suo marito che fa il poliziotto. Di giorno in giorno da lei ascoltiamo quanto sia diventata dura e pericolosa la vita a Charkiw.
Malgrado tutto confidiamo che con l’aiuto del mondo intero l’Ucraina possa vincere questa terribile guerra contro la Russia, il nostro sogno è di far ritorno alle nostre case ancora quest’anno!
Ancora una volta ringraziamo la Svizzera, ricorderemo per sempre ciò che avete fatto per noi.
Viva l’Ucraina!